IRON MAIDEN A PADOVA Un viaggio geologico nel Rock.

DAL MONDO

7/14/20255 min read

Domenica 13 luglio gli Iron Maiden hanno invaso lo Stadio Euganeo di Padova con la loro epicità per Run For Your Lives Tour – prima (e unica) tappa italiana del tour

Cos’è successo? Apertura col botto con “Murders in the Rue Morgue”, “Wrathchild”, “Killers” “Phantom of the Opera”, un medley più nostalgico del Tamagotchi, e ultima portata da chef stellato: “Aces High”, “Fear of the Dark” e “Wasted Years” – roba che ti riporta indietro nei golden years.

Allora, dubbi sull’epicità del concerto non ce n’erano (chi li aveva poteva andare a raccogliere i fiori a Isla Nublar), ma, non vedendoli da qualche anno ed essendoci stato di recente il pensionamento di altri mostri sacri come i Black Sabbath, non dico che pensavo di trovare Eddie che zoppicava e Bruce che cantava attaccato alla flebo, ma avevo già letto commenti, testimonianze e giudizi contrari: “eh ma Bruce non è più quello di una volta”, “la scaletta è moscia”, “Simon non è all’altezza” “non reggono più il passo”.

E invece… sono ritornato quindicenne.

Saltavo, urlavo, cantavo. Era il 50° anniversario della band, e l’ho percepito.

Scaletta old-school curata fino al midollo. Partecipare a un live del genere è come entrare in un museo prestigioso: non quei posti dove trovi una banana attaccata al muro e la chiamano arte, ma quello dove ogni stanza è un’era geologica, e trovi i tuoi dinosauri preferiti in carne, ossa e plettri.

Nessuna pretesa di “modernità”: solo riff storici, memoria collettiva e lacrime di chi ha visto The Number of the Beast su VHS.

Se hai assistito a questo tour, lo sai già: sono state due ore e passa di pura potenza.

Niente basi preregistrate, nessun supporto wah‑wah magico. Solo chitarre, basso, batteria.

Bruce Dickinson non è più quello di una volta? Ah, perché TU a 70 anni ti svegli cantando in FA# e fai la capriola sul palco?

Bruce è un mostro. Sì, gli acuti se li dosa. Sì, ogni tanto prende fiato come un mantice rotto e copre tutto con mestiere, con quella risata, quella benedetta risata!

E poi ti fa la maratona, i salti, la scenetta teatrale, e ti recita pure Shakespeare mentre schiva un lanciafiamme.

Ancora un animale da palco, punto.

Quando parla, lo ascolti. Quando corre, lo segui. Quando urla, ti trasformi in uno dei 40.000 esagitati con la bocca aperta.

Settant’anni e ancora comanda il palco come se l’avesse costruito lui a martellate.

E no, gli Iron Maiden non sono solo Bruce.

Steve Harris è il solito metronomo indemoniato con le dita più veloci del Wi-Fi.

Adrian Smith e Dave Murray sembrano due operai del metallo che ogni tanto si ricordano di essere leggende viventi, Janick Gers forse non piroetta più come un ballerino ubriaco ma agita la sua Fender come un fucile. Ce ne sono tante come lei, ma quella è la sua.

E poi c’è Simon Dawson, al debutto live in Italia dietro la batteria, sostituendo Nicko McBrain: risultato? Picchia, tiene il tempo, e sembra più Maiden di certi fan non di primo pelo che mugugnavano ancora prima che iniziasse il concerto.

Ci mancano il carisma di Nicko e le sue ciabatte? Certamente, ma l’uomo è maledettamente malinconico e adora quello che non ha più. Ricordo benissimo le critiche anche per l’ex batterista.

Sono sicuro che riusciremmo a sentire la mancanza anche del buon Lars, il batterista più massacrato di Los Angeles.

La mia critica preferita? “Le canzoni erano un po’ lente perché c’è il batterista nuovo”.

Ma amico mio, loro hanno rallentato da qualche anno, a quell’età di solito si gioca a carte nei bar, non si fanno gli assoli su The Trooper.

I Maiden saltano ancora come cavallette col turbo, e spingono come se non avessero altre 26 date solo in Europa.

Invece Eddie? Cambia più look di Charles Reed in The Sinking City, tra faraoni, soldati britannici e assassini armati di ascia.

E con il ledwall ha raggiunto vette mai viste.

E sì, ho letto polemiche in 4K pure sull’utilizzo del ledwall al posto dei classici backdrops.

Cos’è cambiato? Più spettacolo, immagini cinematografiche dinamiche e meno plastica. Tutto fluido, tutto visivo.

Menzione speciale per il pubblico, più caldo del token per una birretta da 7€.

40.000 persone e uno stadio vicino al sold out, numeri da paura.

C’è da dire che la band aveva chiesto ai fan di vivere il concerto come se fossimo negli anni '80, senza l’uso dei cellulari, e a parte l’illuminazione a giorno con Run To The Hills e il vecchio davanti a me che ha registrato tutto il concerto meglio di Martin Birch, la richiesta è stata accolta dignitosamente.

FOMO digitale a parte, vorrei soffermarmi sull’esperienza sociologica:

– In parterre: bambini in spalla, padri che urlano “NON SPINGETE!”

Ma amore mio… è un concerto degli Iron Maiden, non una cresima.

Se vuoi la tranquillità, c’è Enya su Spotify, non Eddie con la spada in fiamme.

– Sugli spalti, invece, c’era il corpo di fanteria, i vecchi dentro che non vanno più sotto palco perché "ho la sciatica ma l’heavy metal è la mia vita”, ma stanno in piedi dove si sta seduti.

Paradosso sociologico: la prossima volta invertitevi i posti ed evitiamo di farci cadere i capelli per lo stress (anche perché servono per l’headbanging).

Vogliamo parlare del biglietto? 85 euro che, con le commissioni, la prevendita, la stampa, il timbro postale, la guerra in Ucraina, diventano 170. A meno che tu non voglia vedere il palco da satellite: lì risparmi 2€ e te lo godi dallo stesso punto di vista del pilota di un Boeing 747 in atterraggio.

E poi c’è il Token-Gate: l’acqua si compra con la moneta locale, tipo valuta del Wakanda.

"Due gocce d'acqua? Tre token. Una birretta? Allora anche un rene.”

Ok, ci marciano da anni, ma ragazzi… avete mai sentito parlare di inflazione?

Volevate spendere 25 mila lire come negli anni ‘90? Dovevate andarci negli anni ’90.

A 50 anni di storia, con una new entry che debutta alle pelli e con l’età media sempre più verso i 70, gli Iron Maiden hanno consegnato a Padova una scaletta perfetta, un live pieno di riff storici che spaccano ancora dopo mezzo secolo, e hanno ancora le spalle (e le gambe) per reggere un palco da 40.000 persone.

Bruce forse non regge come 30 anni fa sugli acuti, ma ogni parola la senti e ogni salto lo percepisci nel cuore.

Un plauso va all’organizzazione: dopo il disastro logistico alla RCF Arena per il concerto dei Rammstein (bellissimo, ma sembrava organizzato dal Team Rocket), qui tutto è filato liscio.

Parcheggi, strade, flussi… perfetto.

La verità?

Chi va a un concerto degli Iron Maiden non lo fa per il suono perfetto, anche se in 50 anni ci hanno abituati molto bene.

Lo fa per sentirsi di nuovo vivo, anche se ha 45 anni, il colesterolo alto e si è dimenticato dove ha parcheggiato.

Lo fa per l’incanto di un abbraccio collettivo, per la scintilla di una canzone che ti fa sentire meno solo nella folla.

Per vedere negli occhi di uno sconosciuto la stessa emozione di quando avevi 16 anni e credevi che la musica potesse stravolgere il mondo.

Perché ogni riff e ogni coro condiviso diventano nostalgia, promessa, amicizia.

Per tornare, anche solo per una sera, a crederci ancora un po’.

-Bruttolandia.

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